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a cura di Agenzia regionale di sanità Toscana
Antibiotico Resistenza

Il report ISTISAN sull'approccio ambientale all'antimicrobico-resistenza: valutazione dell’impatto ambientale, approccio One Health, normativa europea e azioni di contrasto

Antibiotico Resistenza · 6 dicembre, 2021
Giovanna Paggi

Comitato di redazione IOZ


Il rapporto dell’Istituto superiore di sanità Approccio ambientale all’antimicrobicoresistenza, pubblicato nel   marzo 2021, valuta l’impatto locale delle attività che coinvolgono l’uso o l’emissione di antibiotici come gli allevamenti zootecnici e gli impianti di acquacoltura intensivi, gli scarichi fognari urbani e sanitari correlandoli ai geni di resistenza e ai batteri resistenti presenti nell’ambiente. Inquadra l’impatto ambientale dell’antimicrobicoresistenza nel contesto italiano e propone alcune azioni per favorire una corretta gestione ambientale di questa minaccia mondiale per la salute. 

Resistenza agli antibiotici e ambiente 

C’è attualmente in medicina una rinnovata attenzione agli ecosistemi ed alla loro influenza sulla salute umana. La consapevolezza della necessità dell’approccio cosiddetto “One Health” hanno spinto alla ricerca di cause (e di soluzioni) ambientali in molti ambiti della medicina.

La microbiologia e le discipline affini sono state le prima ad assumere e diffondere questa sensibilità. La crescita del fenomeno della resistenza agli agenti antimicrobici che si è sviluppata negli ultimi anni è stata percepita come un’emergenza per la salute globale ed ha rafforzato l’attenzione sull’interdipendenza tra organismi viventi tra loro e con l’ambiente in cui vivono.

Ogni comunità microbica presenta un livello naturale di resistenza agli antibiotici (AMR), che avviene tramite mutazioni e acquisizioni di elementi genetici. Questo fenomeno è stato accentuato dall’uso eccessivo, protratto e talvolta improprio di antimicrobici sia in attività umane che veterinarie che hanno favorito lo sviluppo e la diffusione di resistenze antimicrobiche in tutto il pianeta. È ampiamente dimostrato che l’abbondanza e la diversità dei geni di resistenza e di batteri resistenti nell’ambiente (acque di superficie, suoli, foreste) è strettamente correlata all’impatto causato dalle attività umane.

Il ciclo dell’antibiotico-resistenza nell’ambiente è ancora poco conosciuto,in particolare i fenomeni naturali e le interazioni ambientali che possono favorire le resistenze di origine umana in ambiti naturali. Mancano studi epidemiologici consistenti che ci diano informazioni su quanto per gli umani sia grande il rischio del trasferimento di resistenze che si sono sviluppate nell’ambiente esterno, sia come presenza di geni di resistenza nel microbioma umano che come introduzione nell’uomo di batteri patogeni resistenti.

Nel mondo uno dei fattori antropici che maggiormente contribuisce all’aumento dei livelli di AMR è l’uso di farmaci antibiotici, soprattutto se inappropriato, in termini di tipo di principio attivo, durata del trattamento, modalità di smaltimento o riuso.

Nell’ultimo decennio nel nostro paese il consumo di antibiotici per uso sistemico in ambiente comunitario, espresso come dose definita giornaliera per 1000 abitanti (Defined Daily Doses, DDD), è stato sempre più elevato rispetto al consumo medio europeo.                          

Va detto, così come tanti aspetti delle cure e dell’organizzazione della sanità nel nostro paese, che i dati sul consumo di antibiotici (umano e veterinario) e sui ceppi resistenti riconosciuti in ambito ospedaliero variano in maniera significativa da regione a regione e c’è quindi la necessità di sviluppare azioni mirate di controllo e d’intervento che tengano conto di tali differenze.

L’uso di antibiotici, soprattutto se inappropriato, induce una pressione selettiva sui batteri presenti nel nostro organismo, che possono sviluppare una resistenza. Eliminati principalmente attraverso feci e urine, i batteri resistenti possono contaminare l’ambiente e trasmettere i determinanti genetici dell’antibiotico-resistenza ad altri microrganismi presenti nell’ambiente e nel microbioma di animali e piante.

Inoltre tra il 30% e il 90% di un principio attivo terapeutico non viene assimilato e viene disperso attraverso scarichi domestici, comunitari e, in particolare, ospedalieri.

C’è poi la questione delle decine di migliaia di tonnellate di antibiotici distribuite e vendute nel mondo per uso umano e veterinario che non vengono utilizzate e, spesso, smaltite in maniera inadeguata, contribuendo così a contaminare l’ambiente. Pertanto, batteri resistenti, metaboliti di antibiotici e residui di medicinali finiscono nelle acque reflue urbane e negli impianti di depurazione delle acque, e poiché neanche le tecnologie più avanzate riescono a eliminarli del tutto, contaminano corsi d’acqua, inclusi laghi e mari, acque irrigue e acqua potabile. Da notare anche che alcuni antibiotici hanno una vita media nell’ambiente superiore ad un anno e altri possono contaminare l’ambiente per decenni.

Nonostante le diverse caratteristiche di persistenza che variano da classe a classe, gli antibiotici, e più in generale i farmaci, vengono generalmente definiti “semi persistenti” poiché il loro utilizzo è continuo e massiccio e quantitativi rilevanti vengono immessi quotidianamente nell’ambiente.

La WHO nel Global Action Plan on Antimicrobial Resistance riporta che la resistenza antimicrobica ha raggiunto livelli preoccupanti in molte parti del mondo (WHO, 2015). Al fine di contrastare tale tendenza globale, anche l’Unione Europea ha da tempo riconosciuto l’importanza di affrontare la resistenza antimicrobica.

Il Piano prevede un rafforzamento delle azioni esistenti tramite un approccio maggiormente integrato tra salute, agricoltura e ambiente, nonché nuovi interventi che possano rendere più incisiva la lotta alla resistenza antimicrobica. Tra le azioni previste dal Piano, che riguardano in modo più specifico l’ambiente, si segnalano sia le raccomandazioni a considerare con attenzione quanto l’ambiente possa essere un fattore che contribuisce alla diffusione della resistenza antimicrobica sia le indicazioni volte a colmare le lacune conoscitive sulla resistenza antimicrobica nell’ambiente.

I crescenti livelli di AMR nei comuni patogeni di origine alimentare hanno evidenziato la necessità di focalizzare azioni per migliorare la sicurezza alimentare e il coordinamento tra i diversi settori. L’uso prudente di antimicrobici nella produzione agricola e zootecnica e in acquacoltura è elemento fondamentale per ridurre il rischio di acquisire patogeni resistenti di origine alimentare.

                   

L’approccio One Health

Applicando un approccio del tipo One Health, ovvero di salute unica globale, le tre agenzie dell’UE nei diversi settori, l’ EFSA (European Food Safety Authority), l'EMA (European Medicine Agency) e l'ECDC (European Center Disease Control) hanno pubblicato nel giugno 2021 il terzo studio congiunto inter-agenzia sull'analisi integrata dei dati sul consumo di antibiotici e sullo sviluppo di resistenza agli antimicrobici in Europa (2016-2018). Le conclusioni del documento sono che l'uso di antibiotici è diminuito, ed è ora più basso negli animali da produzione alimentare che nell'uomo. I risultati presentati in questo studio incoraggiano a proseguire gli sforzi per far fronte all'AMR a livello nazionale, europeo e mondiale integrando tutti i settori interessati.

Durante il G20 del maggio 2018, è stato istituito il Global AMR R&D Hub. Questo gruppo internazionale di esperti in AMR e stakeholder, ha realizzato una dashboard dinamica pubblica e online per migliorare in modo agile e dinamico il coordinamento e la collaborazione nella ricerca e sviluppo in tema di AMR, coinvolgendo i settori umano, veterinario, e ambientale. I dati raccolti nella dashboard riguardano gli investimenti in ricerca e sviluppo in tema di AMR, i prodotti antimicrobici in sviluppo o recentemente approvati e gli incentivi disponibili in tema di AMR a livello globale. Queste informazioni sono state pubblicate nel 2020 nel primo rapporto del Global AMR R&D Hub.

Oltre all’uso umano, sopra ricordato, l’impatto dell’utilizzo massivo di antibiotici in ambito veterinario non causa solo il rilascio in ambiente di batteri resistenti e di geni di resistenza (Antibiotic Resistant Gene, ARG).

Gli ARG possono raggiungere l’ambiente sia tramite fonti diffuse di contaminazione (aree ad agricoltura intensiva, distretti industriali, attività umane distribuite sul territorio) sia attraverso sorgenti puntiformi quali impianti zootecnici intensivi, acquacoltura e scarichi fognari urbani e ospedalieri.

Le sostanze di origine animale non metabolizzate nell’organismo e i rispettivi metaboliti vengono escreti per via urinaria e fecale, raggiungono le acque reflue urbane e gli impianti di depurazione delle acque, dove generalmente non sono rimossi totalmente. Antibiotici e metaboliti vengono quindi immessi in corsi d’acqua, laghi o mare con le acque trattate oppure in suoli tramite l’utilizzo dei fanghi di depurazione come concime nei campi. Dai suoli possono infine raggiungere nuovamente le acque superficiali o le acque di falda.

L’Italia è uno dei Paesi europei con più elevato consumo di antibiotici e sviluppo di resistenze sia in ambito veterinario che medico-ospedaliero, che vengono monitorate sia come presenza sia per il loro destino ambientale sul territorio nazionale. È stato stimato che in Italia, circa 7–14 tonnellate di antibiotici sono immesse annualmente nell’ambiente tramite i reflui urbani trattati, mentre uno studio più recente ha mostrato come gli antibiotici siano tra i composti più abbondanti nei reflui urbani e nelle acque di superficie.

La presenza di antibiotici e di geni dell’antimicrobico-resistenza nei reflui trattati e nelle acque di superficie può creare ulteriori potenziali rischi se queste acque vengono riutilizzate per l’irrigazione in agricoltura. Questa pratica è molto diffusa anche in Italia e viene adottata specialmente in zone ad alta intensità agricola e scarse risorse idriche. Si tratta di un aspetto poco conosciuto e poco studiato che invece merita un maggior impegno della ricerca che dovrebbe focalizzarsi sull’impatto del riuso delle acque trattate in agricoltura legato alla presenza di microinquinanti quali farmaci e antibiotici.

Già da molti anni si conosce che i sistemi di zootecnia e acquacoltura intensivi utilizzano consistenti quantità di farmaci, principalmente antibiotici, che vengono somministrati agli animali per curare ed evitare il diffondersi di malattie batteriche, fenomeno molto comune nelle condizioni di alta densità in cui sono mantenuti. I farmaci vengono somministrati per via orale e, dal momento che per questa via vengono scarsamente assorbiti, sono quindi escreti in forma attiva con le deiezioni, da cui vengono veicolati nei vari comparti ambientali.

 

La normativa e la Watch List

La direttiva 2013/39/UE ha predisposto un nuovo meccanismo per fornire informazioni attendibili sul monitoraggio di sostanze emergenti che potenzialmente possono inquinare l’ambiente acquatico europeo. Questo strumento, chiamato elenco di controllo (Watch List), monitora tutto il territorio europeo e viene aggiornato ogni 2 anni. Cinque sono gli antibiotici ad oggi considerati: tre macrolidi (Eritromicina, Claritromicina e Azitromicina), e poi amoxicillina e ciprofloxacina.

Il processo di valutazione di un medicinale per uso umano sotto il profilo ambientale, in base alle linee guida predisposte dall’EMA, consiste schematicamente nella stima delle concentrazioni ambientali previste (PEC) delle sostanze attive e dei loro metaboliti nel comparto acquatico e nei sistemi di depurazione delle acque reflue, nella valutazione degli effetti sulle popolazioni animali potenzialmente esposte e, infine, nella valutazione del rischio che scaturisce dal porre a confronto le concentrazioni stimate (PEC) con le concentrazioni ambientali previste di non effetto (PNEC).

Quando un farmaco presenta rischi significativi per l’ambiente (PEC > PNEC), l’azienda farmaceutica deve proporre misure di precauzione e di riduzione dei rischi ambientali, che possono riguardare sia la fase di somministrazione del farmaco che la fase di smaltimento. La valutazione del rischio ambientale è comunque obbligatoria anche per ogni nuovo farmaco veterinario immesso sul mercato europeo e le modalità per effettuare tale valutazione sono indicate nelle linee guida dell’EMA.

Un’azione altamente innovativa per ridurre la presenza di farmaci e antibiotici potenzialmente pericolosi nell’ambiente è stata portata avanti dalla Svezia, dove lo Stockolm County Council and Apoteket e lo Swedish Chemicals Inspectorate hanno messo a punto un modello per la classificazione dei farmaci in base alle loro caratteristiche eco-tossicologiche. Ne è derivato un opuscolo in cui tutti i principali farmaci utilizzati in Svezia sono stati classificati in base alla loro azione e, secondariamente, in base ai rischi ambientali correlati al loro utilizzo (Stockholm County Council, 2012). L’opuscolo venne pubblicato in una prima versione nel 2006 ed è stato poi aggiornato periodicamente distribuendolo a tutti i medici prescrittori con il suggerimento di tener conto, per farmaci di pari attività, efficacia e costo, anche delle loro caratteristiche ambientali, così da prescrivene ai propri pazienti il farmaco più ecocompatibile. Questa iniziativa ha permesso di sensibilizzare molti medici prescrittori sui rischi ambientali dei farmaci e di allertare l’industria farmaceutica perché inizi a considerare queste tematiche.

 

Azioni di contrasto dell’AMR

Per limitare l’uso degli antibiotici negli allevamenti intensivi una soluzione potrebbe essere utilizzare sistemi diversi di protezione degli animali dal rischio di malattie batteriche. La vaccinazione, ad esempio, è un modo molto efficace per prevenire le infezioni e quindi la necessità di usare gli antibiotici.

La sensibilizzazione e l’educazione degli addetti di settore e dei consumatori ad un corretto uso degli antibiotici è sicuramente di prioritaria importanza per controllare l’immissione nell’ambiente. L’esempio svedese descritto precedentemente è rilevante, ma non è stato seguito da altri paesi fino ad oggi.

Molto potrebbe fare una corretta educazione dei medici prescrittori e dei consumatori all’utilizzo e allo smaltimento appropriato degli antibiotici, soprattutto quelli scaduti che andrebbero consegnati in farmacia per uno smaltimento adeguato. Questo problema viene discusso da circa un ventennio ma ha ottenuto fino ad ora poche risposte pratiche. In un recente rapporto “Gli italiani e gli antibiotici: informazione, utilizzo e consapevolezza del fenomeno dell’antimicrobico resistenza” (Censis, 2020) – che espone i risultati di un’indagine nazionale realizzata dal Censis, solo il 59% degli italiani sottoposti all’indagine dichiara di sapere che gettare gli antibiotici non utilizzati o scaduti nei rifiuti domestici o nell’ambiente contribuisce in modo importante all’AMR.


Bibliografia:

  • Giardina S, Castiglioni S, Corno G, Fanelli R, Maggi C, Migliore L, Sabbatucci M, Sesta G, Zaghi C, Zuccato E. Approccio ambientale all’antimicrobico-resistenza. Roma: Istituto Superiore di Sanità; 2021. (Rapporti ISTISAN 21/3).