Lezioni da ricordare dai seminari sull’antibiotico-resistenza 2020 - Tre popolazioni speciali: gli anziani in RSA, i pazienti in riabilitazione e i malati terminali
Highlight dai nostri webinar
Antibiotico Resistenza · 20 luglio, 2020
Francesca Collini
Ricercatrice ARS Toscana
Come ogni anno, l’ARS nel mese di giugno pubblica un documento rivolto al tema dell’antibiotico-resistenza e dell'uso di antibiotici e dedica ampio spazio a questo argomento con un convegno. Quest’anno sono stati organizzati 3 webinar, di cui uno riservato a temi speciali.
Tra tutti i temi speciali approfonditi, tre meritano grande attenzione per le particolari condizioni di esposizione a infezioni e a germi antimicrobico resistenti: i residenti nelle RSA, i pazienti in reparti di riabilitazione e i malati terminali.
Queste tre tipologie di soggetti hanno alcune caratteristiche comuni. In tutti e tre i casi si tratta di soggetti con elevata complessità e questo comporta un rischio di contrarre infezioni maggiore rispetto alla popolazione generale. In RSA accedono nel 70% dei casi anziani non autosufficienti con oltre 3 patologie croniche, che spesso sono esposti a procedure invasive; in riabilitazione ospedaliera (intensiva con codice di reparto 56 e intensiva ad alta specializzazione con codice 75) accedono pazienti con indice di Charlson superiore a 2 nella metà dei casi; infine oltre il 40% dei malati terminali, sia oncologici che affetti da patologia cronica hanno 3 o più co-morbilità e frequentemente (un caso su tre), sono esposti a interventi di supporto vitale intensivo.
I residenti delle RSA sono principalmente donne con età media oltre gli 80 anni e anche i malati terminali hanno mediamente 80 anni ma sono in maggioranza uomini. Per i pazienti ricoverati in riabilitazione invece la popolazione, seppur in prevalenza maschile, l’età varia: per i pazienti con gravi cerebrolesioni acquisite (GCA, codice 75) l’età media è di 33 anni mentre in riabilitazione intensiva (codice 56) l’età media è 70 anni.
Oltre a ciò, va tenuto conto dei rischi correlati al contesto specifico in cui queste persone vivono e i setting di cura approfonditi presentano ciascuno le proprie peculiarità.
Gli anziani non autosufficienti in RSA trascorrono lungo tempo in struttura e conducono una vita di comunità. Il personale ha un turnover alto, con diversi medici di medicina generale che afferiscono alla struttura: questo rende difficile il coordinamento dell’assistenza medica che può portare a un disomogeneo approccio alla diagnosi e al trattamento di una patologia infettiva. Inoltre, qui non vi è la presenza di servizi diagnostici come laboratori o radiologie, e questo può rendere meno tempestiva e accurata una diagnosi di infezione, con il conseguente rischio di trasmissione di infezioni non prontamente riconosciute.
Infine in RSA devono essere assicurati momenti di socializzazione anche attraverso attività di gruppo. Queste attività sono essenziali per promuovere la salute fisica e mentale dell’anziano, ma possono aumentare il rischio di esposizione e trasmissione di malattie infettive.
In riabilitazione invece tutti i pazienti hanno una recente storia di ricovero in ospedale per acuti e la degenza media è maggiore rispetto a quella dei reparti degli ospedali per acuti (>25 giorni). A causa delle patologie di base e del motivo del ricovero in riabilitazione, i pazienti ammessi hanno un limitato livello di autonomia, sono quindi inevitabili frequenti contatti con gli operatori sanitari. Inoltre questi pazienti effettuano manovre riabilitative anche in spazi comuni (palestre, piscine, etc) e possono condividere attrezzature con altri pazienti.
I malati terminali sono pazienti che generalmente vivono al proprio domicilio ma che trascorrono larga parte degli ultimi mesi di vita all’interno dell’ospedale per effettuare terapie chemioterapiche e radioterapiche oppure, a causa di riacutizzazioni o difficile gestione della malattia a casa, effettuano molti accessi in pronto soccorso (69% dei pazienti oncologici effettuano almeno un accesso in PS negli ultimi tre mesi di vita; questa percentuale sale all’80% dei malati cronici) e ricoveri in terapia intensiva (circa il 20% dei casi).
Tutto ciò fa comprendere come non si possa prescindere da una forte personalizzazione delle strategie di prevenzione e controllo delle infezioni affinché queste ultime vengano ridotte al massimo.
Dalle analisi condotte attraverso i flussi informativi regionali e indagini ad HOC, è stato possibile comprendere la prevalenza di infezioni in RSA oltre alla prescrizione di antibiotici e antibiotico-resistenza, le percentuali consumo degli antibiotici e le resistenze degli isolati da batteriemia in pazienti ricoverati presso reparti di Riabilitazione extra-ospedaliera e infine, in pazienti terminali oncologici o cronici, la presenza di batteriemia e sepsi nell’ultimo anno di vita e l’eventuale legame di queste ultime con la malattia di base.
Nel 2017, nel corso dello studio europeo HALT-3, la prevalenza di infezioni correlate all’assistenza nelle RSA toscane è risultata del 4,3% ovvero 1 su 23 anziani; dato più elevato di quello italiano pari a 3,9% e europeo pari a 3,4%. Tale aumento è in parte attribuibile a una crescente sensibilizzazione e formazione sul tema che è stata fatta proprio in questi ultimi anni. I siti d’infezione maggiormente colpiti sono quelli relativi al tratto respiratorio, la cute e il tratto urinario (figura 1).
Figura 1 – Prevalenza d’infezioni e siti d’infezione in RSA. Dati HALT-3 per la Toscana, anno 2017 (Collini, 2020)
Gli anziani delle RSA sono particolarmente suscettibili alle patologie infettive e conseguentemente gli antibiotici sono tra i farmaci più comunemente somministrati. Il 63% dei residenti ha almeno una prescrizione di antimicrobici con una dose definita giornaliera (DDD) per 1.000 residenti pari a 49,9. Due studi europei condotti in un contesto pressoché simile (nursing home) riportano DDD più elevate rispetto a quanto riscontrato in Toscana (Francia: 63,3 DDD per 1.000 residenti, Norvegia: 106 DDD per 1.000 residenti).
Gli antibiotici maggiormente prescritti sono le penicilline (39%), i fluorochinoloni (19%), le cefalosporine (18%) e i macrolidi (14%).
Emerge in Toscana un uso molto elevato antibiotici in profilassi: nel 20% dei casi contro il 12% in Italia. La profilassi viene somministrata prevalentemente (75%) con l’intento di prevenire infezioni urinarie. Solo il 16% delle prescrizioni risultano potenzialmente mirate verso agenti eziologici specifici, contro il 25% del dato italiano e europeo.
Dalle analisi di laboratorio emerge che le urinocolture sono risultate positive nel 21% dei residenti, una prevalenza importante e in linea con l’alta frequenza delle infezioni del tratto urinario nelle RSA. Mentre il 4% dei residenti ha avuto delle emocolture positive, principalmente effettuate durante un ricovero in ospedale.
I principali microrganismi isolati sono stati Escherichia coli, sia dal sangue che da urine.
I risultati degli antibiogrammi hanno evidenziato un’alta frequenza di batteri resistenti (resistenza di Escherichia coli ai fluorochinoloni, resistenza alle cefalosporine di terza generazione in Klebsiella e E. coli, resistenza alla meticillina dello Staphylococcus aureus)
Quasi il 35% dei residenti effettua almeno un ricovero e nel 18,5% dei casi si tratta di un ricovero per cause infettive: nel 4% per sepsi.
Tra i medici che operano in reparti di riabilitazione, il 73% dichiara di prescrivere una nuova terapia antibiotica una volta la settimana; il 95% dei medici dichiara che la gestione del paziente si complica se il paziente è colonizzato o infetto da germi multi resistenti.
Le percentuale di pazienti che hanno avuto necessità di effettuare almeno un isolamento da sangue varia da 3,6% (pazienti con problemi respiratori, cod 56) a 28,3% (pazienti con problemi neurologichi, cod 56), come anche gli isolamenti da urine: da 7,1% (pazienti con problemi cardiologici, cod 56) a 29,1% (pazienti con GCA, cod 75).
Le percentuali di resistenza sono molto più elevate rispetto ai ricoveri per acuti avvenuti in regime ordinario, soprattutto per la riabilitazione in codice 75 che accoglie pazienti con cerebrolesioni gravi (vedi tabella 1).
In base a questo rilievo, per ridurre l’incidenza di colonizzazioni da enterobatteri resistenti ai carbapenemi, la Fondazione Don Gnocchi (in collaborazione con l’Università degli studi di Firenze e il laboratorio congiunto NAR diretto dal Dott. Rossolini) ha introdotto un percorso innovativo di diagnostica molecolare su point-of-care per rilevare i germi produttori di carbapenemasi e allo stesso tempo consentire una rapida diagnosi della patologie da Clostridioides difficile, associandola alla teleconsulenza microbiologica. Vengono quindi effettuati tamponi rettali all’ingresso a ciascun paziente e successivamente analizzati. Poi, attraverso la teleconsulenza microbiologica i risultati delle analisi vengono controllati in remoto con un pool di microbiologi. Questo nuovo processo organizzativo e di collaborazione ha fatto sì che ai pazienti fossero garantite le necessarie precauzioni standard e straordinarie permettendo così un significativo abbattimento delle colonizzazioni/infezioni. In particolare per le GCA, si è passati dal 17% di colonizzazioni e infezioni nel primo trimestre del 2017 all’1% circa nel terzo trimestre del 2019.
Tabella 1 – Percentuali di resistenza degli isolati da batteriemia in pazienti ricoverati presso reparti di riabilitazione. Toscana 2017-2018 (Arena, 2020)
Tra i malati terminali, nell’anno 2018, il 26% dei pazienti cronici e il 20% degli oncologici sviluppano almeno una sepsi o batteriemia nell’ultimo anno di vita. Con riferimento agli ultimi tre mesi di vita, dove il peso dell’infezione sulla mortalità può essere più rilevante, l’infezione è presente del 21% dei pazienti cronici e nel 16% degli oncologici (differenza significativa, vedi figura 3).
In entrambi i gruppi di pazienti, coloro che hanno una sepsi o batteriemia entro 3 mesi dal decesso fanno più accessi al PS nell’ultimo mese di vita e, nello stesso periodo fanno maggior ricorso a interventi di supporto vitale o di trattamento intensivo.
Inoltre la quota di decessi che avvengono in ospedale è maggiore tra chi contrae un’infezione degli ultimi tre mesi di vita e, in particolare supera l’80% tra chi la contrae negli ultimi 15 giorni.
In ambedue i gruppi dello studio, osservati nell’ultimo anno di vita, tra le principali specie di germi sono stati identificati Acinetobacter, Klebsiella ed Escherichia coli, conosciuti anche per la loro facilità ad instaurare meccanismi di resistenza. Dai dati raccolti emerge che l’incidenza di resistenza è maggiormente presente nei pazienti cronici che negli oncologici. Infatti gli isolati ottenuti da pazienti appartenenti al primo gruppo hanno mostrato la presenza di ceppi resistenti ad alcuni antibiotici come:
- Carbapenemi: 91,1% dei ceppi di Acinetobacter, 46,2% dei ceppi di Klebsiella e il 26% dei ceppi di Pseudomonas;
- Cefalosporine di terza generazione: 78,5% dei ceppi di Klebsiella e 56,9% dei ceppi di Escherichia coli;
- Fluorochinoloni: 68,3% dei ceppi di Escherichia coli.
Le percentuali di resistenza tra i pazienti oncologici riguardano principalmente: le cefalosporine di terza generazione con Klebsiella (66,7%), i fluorochinoloni per Escherichia coli (60,1%) e i cabapenemi con Acinetobacter (58,6%). La differenza statisticamente significativa tra i due gruppi è stata identificata solo per Escherichia coli resistente alle cefalosporine di 3° generazione ed Acinetobacter resistente ai carbapenemi.
Figura 2 – Percentuale di pazienti oncologici e cronici che sviluppano almeno una batteriemia e/o sepsi nell’ultimo anno di vita, negli ultimi tre mesi e negli ultimi 15 giorni. Toscana, anno 2018 (Cubattoli, 2020)
Da questa disamina emerge, tra i residenti delle RSA della Toscana, un alto tasso di ricoveri in ospedale dovuti a infezioni. Queste sono in tutto e per tutto equiparabili a infezioni correlate all’assistenza e come tali sono in parte prevenibili tramite l’utilizzo di adeguate precauzioni universali standard. Purtroppo dallo studio europeo HALT-3 è emerso largamente che i sistemi di sorveglianza utili alla prevenzione e il controllo delle infezioni sono molto scarsi in questo setting assistenziale. Solo nella metà delle strutture è presente un programma di sorveglianza delle infezioni ed è disponibile personale medico o infermieristico specificamente dedicato e formato sul tema. Inoltre i risultati di tali programmi di sorveglianza sono raramente restituiti al personale medico e infermieristico che opera nelle strutture.
Anche nel setting riabilitativo è emerso un elevato consumo di antibiotici cui è associata un’alta percentuale di resistenze, che possono essere diminuite attraverso un utilizzo più appropriato e mirato degli antibiotici. Risulta importante continuare a promuovere un uso responsabile di questi farmaci: evitando l’uso inappropriato, selezionando il prodotto corretto, il dosaggio e la durata di trattamento secondo evidenze scientifiche e allo stesso tempo adottando un programma per il controllo delle infezioni correlate all’assistenza. La sperimentazione della Fondazione Don Gnocchi ci segnala che strategie di contenimento delle infezioni devono essere adattate anche alle realtà riabilitative.
La presenza di un’infezione in pazienti terminali ha un impatto significativo sulla mortalità nelle fasi finali della vita anche se dai dati presentati non è possibile capire se questi pazienti decedono a causa della sepsi o se questa costituisce solamente il meccanismo fisiopatologico che porta al decesso. L’analisi degli isolati microbiologici conferma il dato descritto dalla letteratura circa la presenza di germi multiresistenti nei pazienti affetti da patologie oncologiche o croniche.
I pazienti terminali con patologia cronica hanno una maggiore incidenza di infezioni da patogeni resistenti rispetto ai pazienti oncologici. Questo potrebbe essere legato alla necessità, nei periodi precedenti alla fase terminale, di trattare episodi di infezione come la riacutizzazione di patologie respiratorie o di gestire infezioni che compaiono in relazione a cicli di chemioterapia o di infezioni legate all’uso di device invasivi. Anche in questo caso una migliore gestione delle riacutizzazioni a domicilio e una maggiore attenzione a questi pazienti durante i ricoveri in ospedale potrebbe portare a una significativa diminuzione di infezioni e sepsi, migliorando di conseguenza la qualità della vita anche nelle ultime fasi.