Le proprietà antimicrobiche dei rimedi fitoterapici
Ricette dal Giardino dei Semplici
Infezioni · 23 novembre, 2021
AAVV
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«Io sono convinto che, anche nell'era della penicillina e della streptomicina, una modesta droga, come l'Elicriso, possa aiutare molti malati nella guarigione».
Leonardo Santini, 1948
L’impiego degli antibiotici può essere diminuito con l’aiuto di numerose piante e prodotti naturali che posseggono attività antibatterica. Gli esseri umani, ma anche alcuni animali, raccolgono piante dall’alba dei tempi a scopi diversi da quello meramente alimentare: per curarsi, per ottenere tessuti e coloranti, a scopo rituale e magico, o per uso stupefacente.
Ogni areale geografico ha avuto, sino a qualche decennio fa, una sua tradizione, tramandata oralmente, sull’impiego di erbe, fiori, frutti, radici, variamente combinati, preparati e somministrati. In questi bagagli di informazioni si trovavano perle di saggezza e superstizioni fantastiche (un bell’esempio di questi variegati saperi è riportato nello studio di Maria Elena Giusti e Andrea Pieroni1). Mentre il tempo disperde queste memorie nella consapevolezza collettiva e le relega negli ambiti dotti degli studi antropologici, la medicina, con l’aiuto della farmacologia e della chimica, può avvalersi dell’esperienza acquisita in millenni di applicazione empirica alla luce di moderne ed appropriate valutazioni scientifiche.
Questo articolo vuole fornire alcuni esempi di come l’uso corretto di prodotti naturali possa affiancare virtuosamente l’impiego dei farmaci antibiotici, spesso risparmiandoli per un utilizzo più adeguato e meno indiscriminato.
Una pianta ormai conosciuta e consolidata nel trattamento della cistite è Vaccinium macrocarpon L., ossia il mirtillo rosso americano, noto anche col nome inglese, cranberry. Spontaneo nel Nord America, già utilizzato tradizionalmente dalle popolazioni locali, la Society of Obstetricians and Gynaecologists of Canada lo ha inserito nelle linee guida per la prevenzione delle recidive di infezioni del tratto urinario2 e uno studio del 1994 dimostra che l'assunzione di piccole quantità di succo di mirtillo rosso (15 ml due volte al giorno) riduce il rischio di batteriuria nei pazienti ospedalizzati3. Sarebbero i proantocianidoli contenuti nelle bacche ad inibire l'adesività di diverse specie batteriche, come Escherichia coli, Proteus mirabilis, Staphylococcus aureus e Pseudomonas aeruginosa; gli stessi composti sembrano funzionare anche su Helicobacter pylori, quantomeno abbattendone la carica nello stomaco2. Sarà utile ricordare che anche la prostatite, causa di gran consumo di antibiotici spesso senza bonifica del sito, ma piuttosto esitando nella sostituzione di una specie batterica con un'altra, possa migliorare significativamente con il mirtillo rosso4.
Anche Plantago major L., la ben nota piantaggine, pianta edule della quale si trovano in commercio preparati della mucillagine presente nella foglia ad uso blandamente lassativo, presenta attività antivirali, grazie all'acido caffeico, ed antibatteriche, ma pur essendo così diffusa alle nostre latitudini è assai meno studiata del mirtillo rosso, riguardo le proprietà antimicrobiche2. L'altea comune (Althaea officinalis) ha proprietà in gran parte analoghe alla piantaggine, ed è una specie erbacea imponente, bellissima da vedersi fiorita in orti e giardini, purtroppo ormai fuori moda. L'elicrisio (Helichrysum italicum ed H. angustifolium), oltre a ben note proprietà eudermiche, ha mostrato benefici effetti in varie affezioni dell'apparato respiratorio, da rinite a pertosse e bronchite5; anche la malva selvatica (Malva sylvestris) mostra queste caratteristiche, ed insieme all'altea induce paraimmunità.
Meriterebbero ampia riflessione e dibattito le azioni delle piante bechiche sia sull'apparato respiratorio che su quello digestivo e spesso anche sulla cute. Alla luce delle crescenti ricerche, ipotesi e speranze sulla conoscenza del microbiota intestinale e sulle sue capacità immunomodulatorie, appare probabile che la molteplicità di effetti di queste piante possa essere mediata anche da ancora ignote interazioni metaboliche con la flora intestinale; se sono poco approfonditi gli studi sui loro effetti diretti, quelli che prevedono interazioni complesse con sistemi biologici altrettanto complessi non possono, al momento, che restare un post-it sulla bacheca delle conoscenze da realizzare.
Un'altra bella pianta dall'uso sicuro, purché non si ecceda nelle dosi, è il nasturzio (Tropaeolum majus). Quello della sicurezza è un aspetto fondamentale della fitoterapia, che meriterebbe di essere trattato a parte per dissipare la leggerezza nei consigli per l'impiego di questi rimedi; se da un lato è superficiale sottovalutarli, dall'altro è incosciente sopravvalutarli. Il giusto bilanciamento è la conoscenza dell'argomento e la valutazione rigorosamente individuale, come dovrebbe essere per ogni medicinale da assumere. Mi permetto di insinuare che per i comuni farmaci tanta cautela non viene generalmente osservata. Bello e buono da mangiare (sia foglie che fiori) , il nasturzio è attivo sulle affezioni bronchiali e su quelle delle vie urinarie, grazie alla sua ricchezza in isotiocianati di benzile; ne è così ricco (circa 30 mg su 100 di pianta fresca) che può diventare tossico se si eccede la quantità di 15 grammi a pasto2.
E già che abbiamo sfiorato il tema della tossicità, la lobelia (Lobelia inflata) è pure attiva nelle malattie respiratorie, ma ha un basso indice terapeutico, a causa della lobelina, principale alcaloide in essa contenuto, che agisce direttamente a livello bulbare sul centro del respiro. L'uso è limitato alla ricerca sui recettori nicotinici2.
Analogamente, la tussilagine (Tussilago farfara), come si evince dal nome, che viene da tussis agere (cacciare la tosse) è molto attiva, e nota sin dall'antica Grecia, ma l'uso è fortemente sconsigliato per la presenza di alcaloidi epatotossici. Benché gli studi eseguiti sinora non siano concordi sulla quantità nociva presente nella dose di consumo, la citiamo solo per accennare all'immenso patrimonio vegetale che attende di essere indagato con metodo scientifico2.
L'echinacea spp. (varie specie, tra le più usate: angustifolia, pallida e purpurea) è nota e diffusa6, ma in passato era ancor più usata che oggi7, quantomeno dove cresce spontanea, ossia nel Nord America, dove i nativi la consideravano efficace in molteplici circostanze, dal morso del serpente a sonagli al mal di denti. Aumenta le difese immunitarie in modo aspecifico, potenziando la fagocitosi e la produzione di citochine. Il suo impiego è strategico: ai primissimi sintomi ma anche come coadiuvante nelle infezioni recidivanti delle vie respiratorie e anche nelle infezioni urinarie croniche. Questo aspetto dell'azione su infezioni di lunga durata merita riflessione; questo gruppo di specie rappresenta uno dei casi in cui è più evidente l'importanza del fitocomplesso. I costituenti cui ascrivere l'attività di potenziamento delle cellule natural killer e la citotossità anticorpo-dipendente sono infatti i polisaccaridi, le glicoproteine, l'acido cicorico (o caffeico) e le alcammidi. Ognuno di questi gruppi molecolari ha mostrato attività di potenziamento di differenti percorsi cellulari o umorali della immunità naturale ed è dalla loro azione combinata che risulta l'immunostimolazione caratteristica di queste piante2.
L'aglio (Allium sativum) presenta attività antisettica e antibiotica, in particolare sugli apparati respiratorio e gastroenterico. L'allicina, (allyl2-propentiosulfonato) uno dei principi attivi del bulbillo contuso, è attiva contro una vasta gamma di batteri, sia Gram positivi che Gram negativi, anche resistenti agli antibiotici, contro miceti quali Candida albicans, e parassiti intestinali come Entamoeba histolytica e Giardia lamblia. Non manca di attività antivirale8. L'azione antimicrobica principale si deve alla reazione con i gruppi tiolici di vari enzimi e va sottolineata l'azione antibatterica sul sistema respiratorio, sul quale l'aglio agisce sia dall'esterno, se impiegato in forma vaporizzata, sia dall'interno se ingerito in quanto l'essenza viene eliminata in gran parte con la respirazione9. Anche per l'aglio l'insieme val più della parte, infatti l'estratto fresco intero ha una attività antibatterica più elevata rispetto al singolo componente purificato, in questo caso l'allicina, la quale da sola risulta molto meno efficace di vari antibiotici10. Si sorvola, in questa sede, sulle altre proprietà del fitocomplesso, tra le quali spicca quella antiipertensiva.
Gli antichi Egizi, chiamati foetidi dalle altre popolazioni mediterranee proprio per il loro massiccio uso di aglio, impiegavano già anche come antibatterico un altro potente rimedio: il miele. Il miele ha più di un componente con attività antisettica ed antibatterica; il metilgliossale è uno dei più potenti e studiati, ma vari enzimi contribuiscono alla sua azione e l'elevatissima presenza di zuccheri presenta già di per sé un effetto barriera inibente la crescita batterica. Il miele è forse l'unico alimento privo di scadenza. Naturalmente, non si può pensare di trarre beneficio biologico dal miele pastorizzato, buono al più come dolcificante. Ampiamente studiato ed impiegato come rimedio per ulcere ed ustioni, dove occorre adoperare miele sterilizzato ai raggi gamma allo scopo di inattivare i microrganismi presenti (pochi, nei mieli ben raccolti, ed in genere sotto forma di spora), ha una profonda azione rigenerante sulla mucosa buccale e gastrointestinale. Tutte queste proprietà variano a seconda della varietà, dai differenti tipi di monoflora ai mieli millefiori. Studi approfonditi e acceso dibattito scientifico hanno suscitato le scoperte di Molan11 sulle proprietà del miele di manuka (Leptospermum scoparium); le polemiche hanno poi lasciato il posto al riconoscimento dell'efficacia di questo tipo di miele12. Altri tipi di miele mostrano vari gradi di attività: in generale, mieli più scuri hanno maggiori proprietà antibatteriche e il miele di melata ha le doti più spiccate, comparabili al miele di manuka13.
Gli antichi Egizi sembra impiegassero anche la propoli, per la mummificazione; di certo a questo scopo è impiegata dalle api, per impedire la degenerazione del corpo di insetti morti all'interno dell'alveare. È evidente già da questo uso l'azione antibatterica ma, come per il miele, si tratta di composti altamente eterogenei, variabili a seconda delle piante visitate dalle api bottinatrici, che la raccolgono principalmente per sigillare le celle dell'alveare dove si svilupperanno le future api. La propoli è un prodotto resinoso, nel quale sono presenti anche cere, polline, olii essenziali, minerali vari e flavonoidi, insolubile in acqua e perciò utilizzata normalmente in soluzione alcolica, se non preparata in modo più sofisticato in forma di granuli o spray per uso orale. Non è soltanto un miscuglio di sostanze raccolte, ma anche frutto della trasformazione enzimatica dovuta alla rielaborazione che ne fa l'ape, soprattutto attraverso le secrezioni salivari. Le proprietà antivirali della propoli sono ben note da tempo, fino alle più recenti osservazioni a proposito dell'infezione da SARS-CoV-214.
Per restare sugli argomenti complessi, non si può tacere degli olii essenziali. Si tratta anche qui di miscele, in questo caso di composti eterei, estremamente volatili e di solito standardizzati misurando un qualche componente caratteristico di ciascuno. Sono estratti in vario modo (spremitura nei casi più semplici, come per gli agrumi, distillazione in corrente di vapore per moltissimi, enfleurage per pochi, rari e costosi) da fiori, frutti, foglie, radici, cortecce, e in generale sono caratterizzati da intenso profumo. Questa loro caratteristica accattivante non deve trarre in inganno: si tratta di concentrati molto potenti da non utilizzare alla leggera. Molti sono fotosensibilizzanti, molti sono potenti allergeni, pochi quelli da usare senza precauzioni da contatto e pochissimi quelli che si possono impiegare puri, non diluiti. Di certo non è tra quelli di pronto impiego l'olio essenziale di origano (Origanum vulgare), essenza di riferimento per l'attività antimicrobica decisamente spiccata15. L'indice origano infatti rapporta a questo olio essenziale l'azione antibatterica degli altri, generalmente inferiore. Pur essendo potente, non si utilizza, a causa della elevata tossicità, per via sistemica, e solo a concentrazioni non superiori all'1% per uso topico. Analogamente “robusti” sono gli olii essenziali di rosmarino, timo e santoreggia.
Syzygium aromaticum (o Eugenia caryophyllata) e Cinnamomum verum sono rispettivamente i nomi botanici delle piante da cui si ricavano chiodo di garofano e cannella, dai quali - per distillazione in corrente di vapore - si hanno olii essenziali attivi contro i microrganismi, sempre da adoperare nelle diluizioni appropriate.
Gli olii essenziali più semplici da utilizzare perché più sicuro è il loro impiego anche da parte dei meno avveduti sono solo un paio, in compenso di utilità molto ampia: certamente il tea tree oil (da Melaleuca alternifolia), che si usa puro nell'onicomicosi e diluito come antimicotico nelle vaginiti da Candida o nelle stomatiti e faringiti; in generale nelle infezioni cutanee è efficace e ben tollerato. Un altro, non certo ultimo per importanza e varietà di applicazioni, è l'olio essenziale di lavanda (Lavandula angustifolia, o L. officinalis, o L. vera), la cui attività antimicrobica risulta inferiore agli olii “maggiori”, ma è compensata da qualità antiinfiammatorie e decongestionanti su cute e mucose, che ne permettono l'uso in purezza. Poiché oltre a queste ha proprietà distensive, antidepressive, balsamiche e sedative, tutte esplicate “dolcemente”, è un aiuto prezioso in molte “piccole” situazioni. Questa molteplicità di bersagli sussiste per qualsiasi prodotto vegetale fitoterapicamente attivo; si fa solo questo esempio, dato che qui l'intento è solo quello di voler evidenziare le proprietà antimicrobiche. Va da sé che, come per qualsiasi altro prodotto, possono esserci soggetti allergici. Quasi tutte le informazioni sugli olii essenziali qui riportate sono frutto di “spigolatura” nella rigogliosa e molto documentata opera di Enrica Campanini2, il resto sono ricordi di varie letture*.
Molto altro resta da dire su questo vastissimo argomento: del resto il mondo vivente si difende, o cerca di farlo, da ciò che lo minaccia. Persino il nostro organismo produce molecole ad attività antibatterica, basti pensare ai sistemi di trasporto del ferro nel sangue, per i quali c'è competizione diretta da parte dei siderofori batterici, o al lisozima che abbiamo nelle lacrime, impiegato adesso al posto della meno salubre formaldeide di qualche anno fa come conservante dei formaggi tipo grana, o a taluni fattori del complemento, capaci di lisare direttamente i batteri Gram negativi. Al contempo il nostro corpo ospita stabilmente microrganismi che ne antagonizzano altri, potenziali patogeni, e che non vengono riconosciuti come estranei e dannosi.
Molti sono stati i peptidi e i composti vegetali studiati per la loro attività antimicrobica16, 17. Anche in medicina veterinaria sono stati compiuti sforzi in questo senso, molto apprezzabili al fine di ridurre il carico antibiotico riversato nell'ambiente18. Gli studi sono rivolti anche alle forme di vita batterica più ostiche da eradicare, come il biofilm19.
Questa breve rassegna vuole avere lo scopo di incuriosire il lettore nei confronti di questi rimedi antichi, taluni disponibili in formulazioni moderne; paradossalmente, nel nostro Paese, sono più noti e distribuiti in farmacia i rimedi nordamericani, rispetto a quelli autoctoni. Un altro motivo di riflessione potrebbe essere di tipo economico e normativo: mentre un antibiotico prescritto dal medico curante si può ottenere senza spese ulteriori, i rimedi fitoterapici sono registrati come integratori e la spesa per l'acquisto viene sostenuta interamente dall'acquirente, che può averli senza prescrizione alcuna.
Alcuni preparano rimedi fitoterapici autonomamente: infusi, decotti, tinture madri (queste ultime sono estratti idroalcolici, a titolo variabile secondo la specie, della pianta o di parte di essa, preparati da materiale appena raccolto nel suo periodo balsamico, ossia quando contiene il massimo dei principi attivi), ma va sempre sottolineato come sia indispensabile, oltre a conoscere le piante che si vogliono preparare, impiegare materiali il più possibile incontaminati e, ove ci si rivolga a fornitori commerciali, assicurarsi delle certificazioni possedute e della titolazione in principio attivo di riferimento della preparazione richiesta.
Sono lontani i tempi in cui, come riportano acutamente Giusti e Pieroni1, fondamentale era poter disporre nella quotidianità di ciascuno di blandi antinfiammatori a largo spettro, così da intervenire precocemente sulle affezioni comuni prima che potessero evolvere in infezione. I ritmi odierni ci portano spesso a confrontarci con l'infezione quando è sintomatica, avendone trascurato i segnali prodromici. E un'altra cosa dovrebbe darci da pensare: l'atteggiamento di molti di noi verso una qualsiasi patologia che presentano, tardivamente, al professionista perché la guarisca, quasi non fosse qualcosa di intimamente connesso alla propria persona, ma un guasto meccanico da riparare.
*Si ringrazia Alessandro Calissi per l'interessante corrispondenza sull'argomento
Riferimenti bibliografici
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