Prevenire le infezioni nelle lesioni cutanee: rapporto diretto tra ospedale e territorio e il supporto della tecnologia
Infection Control · 8 novembre, 2021
Chiara Bruni
Farmacista presso Sogefarm Cascina Srl
Grazie ai progressi nella medicina, si allunga l’aspettativa di vita per molti pazienti affetti da patologie croniche, ma questo vuol dire avere e a che fare con maggiori casi di cronicità e comorbidità che spesso sfociano in complicanze non facili da gestire ed espongono i pazienti a un rischio di sepsi sempre maggiore. Una delle principali cause di infezioni è l’insorgenza di lesioni cutanee.
In pazienti immobilizzati infatti, è frequente la comparsa di lesioni cutanee che, se pur con differenti eziologie (compressione da decubito, deficit vascolare, diabete), possono insorgere in maniera repentina ed altrettanto rapidamente infettarsi.
Le procedure di prevenzione (secondo l’European Pressure Ulcer Advisory Panel – EPUAP) rivestono un ruolo fondamentale per mantenere l’integrità della cute e consistono in una serie di azioni (la valutazione dei fattori di rischio, la cura preventiva della cute, la terapia nutrizionale, il riposizionamento e la mobilizzazione precoce e la scelta adeguata di dispositivi antidecubito) in cui sono coinvolti numerosi soggetti: dal paziente stesso, ai caregivers, al personale sanitario che gravita attorno al paziente, fino ad arrivare, a livello organizzativo, allo sviluppo di un programma strutturato di miglioramento della qualità, personalizzato
e sfaccettato per ridurre l'incidenza delle lesioni da pressione.
Quando in un paziente si verifica l’insorgenza di un’ulcera cutanea, il percorso assistenziale domiciliare viene intensificato mediante l’avvio, su iniziativa del medico curante, di un servizio di medicazione domiciliare curata da personale infermieristico qualificato.
Abbiamo intervistato il dottor Valerio Vallini, esperto di Wound Care e diagnostica vascolare periferica, che attualmente dirige l'ambulatorio vulnologico di II livello presso l'ospedale Lotti di Pontedera per la gestione avanzata delle ulcere cutanee. Il suo recente studio (Skin Ulcers are Predictors of 30-Day Hospital Readmission, But are Under-represented in the DRG Coding: A Retrospective Case-Control Study From an Italian Internal Medicine Unit), condotto su 3.000 pazienti, conferma che dopo una dimissione, il 14% dei pazienti subisce un nuovo ricovero nei reparti di medicina. Tali ricadute sono fortemente correlate a patologie croniche quali insufficienza renale, BPCO, malattie croniche cerebrovascolari e cognitive. Tra questi, un paziente su due ricoverato entro trenta giorni dalla dimissione presenta ulcere cutanee e nel 24% dei casi è presente un’infezione. Nonostante questi numeri e il fatto che le sepsi siano tra le principali cause di morte in pazienti comorbidi, le lesioni cutanee vengono ancora scarsamente menzionate nel DRG e trattate in maniera generica nei reparti di medicina.
Quali sono i punti di forza del servizio e quali invece le difficoltà su cui intervenire per diminuire i ricoveri dovuti ad infezioni?
«Senza dubbio il sistema sanitario fa un grande lavoro di assistenza. Negli ultimi anni l’assistenza domiciliare ha compiuto grandi passi avanti: l’utilizzo di medicazioni avanzate, le linee guida per la cura delle lesioni che nel tempo sono state oggetto di un’opera di revisione e razionalizzazione rappresentano un ottimo punto di partenza per gli operatori sanitari, ma spesso non bastano. C’è ancora molto lavoro da fare sul territorio per prevenire le infezioni».
Quali sono i punti critici nel processo assistenziale domiciliare?
«Spesso in presenza di una lesione dal decorso più difficile, il personale infermieristico effettua un tampone domiciliare e se il tampone è positivo, il medico di famiglia allertato procede ad una scelta apparentemente logica, ovvero la prescrizione di un ciclo di antibiotico, classicamente il ceftriaxone o un chinolonico.
La diagnosi di un’infezione è però un percorso clinico, che si avvale di una valutazione visiva da parte del medico e di altri dati come la febbre e gli esami ematochimici. Il tampone svolto a domicilio può fornire un risultato falsato: il materiale biologico superficiale può essere contaminato dai batteri presenti sulla pelle, quindi non si deve incorrere nel rischio di considerarlo l’unico indicatore di un’infezione, altrimenti si rischia di procedere a prescrizioni antibiotiche non necessarie o inadeguate.
Viceversa, quando un’infezione è ormai ad uno stadio avanzato, continua Vallini, il medico di famiglia si ritrova a dover gestire una situazione già grave con poche frecce al proprio arco, non disponendo di tutti gli antibiotici presenti in ospedale. Ecco che quel paziente, dopo varie somministrazioni di antibiotici inefficaci, dovrà necessariamente affrontare un ricovero, per poter avere accesso ad antibiotici ad uso esclusivamente ospedaliero».
Un altro problema riportato dal vulnologo è rappresentato dalla mancanza di una gestione unica informatizzata. Avere a disposizione una cartella clinica informatizzata visionabile da remoto, con un’anamnesi dettagliata che definisca in modo chiaro l’eziologia delle lesioni, i risultati degli esami ematochimici, e corredata di materiale fotografico che documenti la progressione delle ferite, sarebbe molto utile per poter osservare il decorso del problema cutaneo e facilitare i medici di famiglia e gli infermieri nella richiesta di un consulto specialistico.
Quali sono quindi i temi su cui lavorare?
«In primis, insistere sull’appropriatezza prescrittiva, fornendo al personale infermieristico e ai medici di famiglia tutti gli strumenti per una diagnosi tempestiva di infezioni, che da un lato scongiura il rischio di sovraprescrizione antibiotica nel caso di lesioni non ancora infette, dall’altro, avvalendosi di un contributo multidisciplinare, assicura al paziente una prescrizione di farmaci più efficaci in caso di bisogno».
La chiave quindi è quindi una maggiore opera di coordinamento e un contatto più diretto tra hub ospedalieri e territorio con un supporto concreto da parte di specialisti ai distretti e ai medici di base. «In parole semplici - dice Vallini - anziché aspettare il paziente in un nuovo ricovero, gli infettivologi dovrebbero poter uscire dagli ospedali e avere una connessione diretta con la rete assistenziale domiciliare».
Un ulteriore progresso sarebbe riuscire a sbloccare le prescrizioni di antibiotici di fascia H anche per i pazienti domiciliari, ovviamente solo su prescrizione dello specialista che ha effettuato il consulto sulla base di dati oggettivi.
«In seconda analisi - aggiunge Vallini - è necessario sfruttare di più la tecnologia. Mentre l’informatizzazione è arrivata bene negli ospedali, non è ancora ben capillarizzata nel territorio. Dotare gli infermieri di un tablet consentirebbe loro la compilazione di una cartella informatizzata con cui monitorare al meglio le lesioni e poter richiedere supporto in tempo reale».
Avere una gestione informatizzata consentirebbe di unificare i percorsi regionali assistenziali nelle modalità, affinchè tutti i distretti della Toscana (anche quelli più isolati) abbiano lo stesso sostegno.
Prevenzione, stewardship, rete multidisciplinare, tecnologia: sono tutti passi necessari per arrivare a diagnosi puntuali, basate su evidenze cliniche, che porteranno a prescrizioni più appropriate e tempestive, scongiurando il rischio di sviluppare una sepsi nel paziente e fenomeni di resistenze antibiotiche.
Evitare un ricovero significa ridurre il rischio di contrarre ulteriori infezioni in ospedale ma comporta anche un risparmio economico per il sistema sanitario: occorre quindi ripensare con una proiezione più ampia anche alla logistica della prevenzione delle lesioni cutanee, fornendo una leadership clinica nella prevenzione e nel trattamento delle lesioni da pressione come parte di un piano di miglioramento della qualità assistenziale.