Identificazione del paziente con sospetta sepsi al Dipartimento di emergenza
Fondamentale è l'identificazione precoce
Sepsi · 5 giugno, 2018
Germana Ruggiano
Ospedale Santissima Maria Annunziata, Firenze
La sepsi è una delle malattie più comuni, ma meno riconosciute sia nei paesi ad alto reddito che in quelli a basso e medio reddito. Ogni anno nel mondo, dai 20 ai 30 milioni di pazienti sono colpiti dalla sepsi, di questi oltre 6 milioni sono sepsi neonatali e pediatriche e oltre 100.000 sono casi di sepsi materna. Ogni pochi secondi nel mondo, una persona muore di sepsi. La sepsi si verifica quando la risposta del corpo a un'infezione danneggia i propri tessuti e organi. Alla base della sepsi c’è un’infezione e senza infezione non c’è sepsi.
Tutte le infezioni in un ospite possono poi risultare in disfunzione d’organo potenzialmente mortale in dipendenza della virulenza dell’organismo e della risposta dell’ospite (vedi PIRO score). Si potrebbe affermare che tutte le infezioni iniziano in modo asintomatico dopo l’inoculo di microrganismi; solo quando c’è stata una risposta, almeno locale a quell’inoculo, l’infezione produce sintomi che fa si che il paziente si curi o cerchi aiuto. A un certo momento la risposta locale si trasforma in una risposta sistemica: questa risposta sistemica è stata riconosciuta come SIRS. Successivamente o contemporaneamente può avvenire la disfunzione di uno o più organi.Se consideriamo la sepsi un problema solo quando interviene la disfunzione di organo che mette a rischio la vita rischiamo di “perdere” lo spettro della malattia e di minimizzare l’importanza dell’infezione e della sua evoluzione come principale determinante nel determinare la disfunzione d’organo.
Esistono numerosi lavori che dimostrano come il trattamento aggressivo e tempestivo (antibiotici e fluidi) dei pazienti con shock settico ne determinano l’outcome in termini di mortalità. Sia la precocità che il volume adeguato di liquidi ev. somministrati nei pazienti con sepsi severa migliorano la sopravvivenza: non va pertanto sottovalutata l’importanza di diagnosticare la sepsi prima possibile e iniziare il trattamento prima possibile anche solo in caso di sospetto clinico.
Sicuramente i criteri della Sepsis-3 identificano i pazienti con sepsi severa e shock settico e studi successivi hanno mostrato che il SOFA e qSOFA hanno una migliore capacità predittiva rispetto alla SIRS relativamente alla mortalità e al rischio di ricovero in ICU. La maggiore specificità è però a discapito della sensibilità e di una più precoce identificazione dell’infezione potenzialmente evolutiva.
I criteri di SIRS derivano da anni di clinica e vengono utilizzati dai clinici per identificare pazienti che potenzialmente hanno un’infezione che potrebbe evolvere verso la disfunzione d’organo. Il qSOFA predice tardi i deterioramento, essendo presente 5 ore prima del trasferimento in ICU o la morte, la SIRS invece è più precoce, essendo presente 17 ore prima gli eventi combinati (Churpek et al qSOFA, SIRS and early waring scores for detecting clinical deterioration in infected patients outside the ICU Am J Respir Crit Care Med 2017; 45 (10):1677).
L’utilizzo più appropriato dei criteri di SIRS è che in presenza di 2 o più criteri venga immediatamente messa in atto la ricerca di un’infezione e la sua possibile fonte e contemporaneamente la valutazione della disfunzione d’organo (Simpson S. et al. SIRS in the time of sepsis Chest 2018 153 (1): 34-38).
L’obiettivo del medico d’Urgenza che per primo entra in contatto con il paziente è pertanto duplice:
- Identificare il paziente con disfunzione d’organo e ricercare eventuali infezioni ad essa correlata
- Riconoscere il paziente con infezione in atto e valutare la potenziale evoluzione in disfunzione d’organo ancora non presente
Mentre per il primo obiettivo la nuova definizione di sepsi, con l’utilizzo del qSOFA come strumento di allerta e poi del SOFA come valutazione dell’entità e del numero delle disfunzioni d’organo, dà uno strumento valido e attendibile, la stessa cosa non vale per il secondo obiettivo.
La seconda categoria di pazienti è quella più difficile da individuare e per la quale la cultura, l’esperienza e la metodologia di approccio del medico d’Urgenza possono avere un maggior peso.
Da un lato abbiamo pazienti che si presentano con evidenti segni locali di infezione (cistite, tonsillite, ascessi cutanei, colecistite, polmonite…) e dobbiamo individuare quella sotto-popolazione che ha già segni sistemici e che per le condizioni sottostanti (patologie croniche, immunodepressione, ricoveri frequenti) ha una fragilità e un maggiore rischio di evoluzione negativa. Da un altro lato abbiamo pazienti che si presentano con sintomi aspecifici (astenia, malessere generale, “dizziness”, sincope…) di interessamento sistemico e dobbiamo ricercare un’eventuale infezione non evidente. Questo succede soprattutto negli estremi della vita.
Il medico d’emergenza ha un approccio al paziente molto differente rispetto al medico internista in quanto la ricerca della diagnosi è volta principalmente all’esclusione di patologie che mettono a rischio la vita del paziente e al trattamento immediato di queste condizioni. Pertanto l’anamnesi, l’esame obiettivo, la diagnostica di laboratorio e per immagini è volta a escludere via via gli “scenari peggiori”. Un esempio tipico è quello del dolore toracico in cui l’approccio del medico d’emergenza è volto a escludere immediatamente (pochi minuti) patologie che mettono a immediato rischio la vita come la dissecazione aortica, l’infarto del miocardio o l’embolia polmonare; in questo approccio va considerata anche la sepsi che può non essere vista come uno dei “killer” maggiori ma che va ricercata ed esclusa in tempi brevi (prima ora). La difficoltà è legata al fatto che non abbiamo marker clinici, laboratoristici o strumentali specifici e pertanto il livello di attenzione e di sospetto deve essere molto elevato.
Le indicazioni sono che in caso di sospetto vanno prelevate le emocolture, ricercata la possibile fonte e iniziata la terapia antibiotica empirica ragionata. Le emocolture andrebbero prelevate in tutti i pazienti con possibili sintomi di batteriemia: febbre, brivido, tachicardia, tachipnea, ipotermia o ipotensione senza causa evidente, alterazione dello stato di coscienza improvviso soprattutto nei pazienti anziani), leucocitosi o leucopenia non spiegate, insufficienza renale acuta o epatica acuta non spiegabili in altro modo nei pazienti immunodepressi.
La ricerca della possibile fonte di infezione deve essere approfondita e basata sulla sintomatologia, sull’esame obiettivo e l’ecografia clinica intesa come estensione dell’esame obiettivo: l’obiettivo è da un lato avere conferma della diagnosi di infezione (polmonite, ascesso addominale, fascite, etc.) e dall’altro valutare la necessità-possibilità dell’eradicazione del focolaio (drenaggio pleurico, nefrostomia, etc.). Esistono in letteratura (soprattutto del mondo anglosassone) degli score pensati per cercare di individuare i paziente a rischio di evoluzione negativa come il MEDS score di Shapiro ma sono piuttosto grossolani e identificano il paziente che già “a occhio” risulta critico; al momento non abbiamo score utili ed utilizzati universalmente.
Uno dei problemi della medicina d’urgenza è la gestione contemporanea di molti pazienti all’interno dei quali possono esserci molti con patologie minori e pochi o molti con patologie gravi o potenzialmente evolutive. Al di là della cultura, dell’esperienza e della metodologia del medico sicuramente un “aiuto” in questo difficile compito può e deve venire dal lavoro di squadra e dall’organizzazione. Mai come nel paziente settico il ruolo dell’infermiere è fondamentale:
- è la persona che per prima entra in contatto con il paziente al triage e che può sospettare la sepsi e eseguire rapidamente alcune valutazioni
- è la persona che da un punto di vista assistenziale è più vicina al paziente durante il suo percorso e può evidenziare variazioni
Per quanto riguarda il triage è necessario fornire all’infermiere uno strumento di “screening” che lo aiuti a identificare il paziente potenzialmente settico; a livello internazionale i criteri di SIRS sono stati utilizzati per l’identificazione al triage ed esistono numerosi lavori che dimostrano come l’utilizzo di questi strumenti (sia in mano all’infermiere che implementati nei programmi delle cartelle informatizzate) riducono il “ritardo” nel trattamento. A livello della regione Toscana è stato inserito tra gli algoritmi per l’attribuzione del codice di triage un algoritmo specifico per il sospetto di sepsi che integra alcuni criteri di SIRS con il qSOFA per cercare di individuare i pazienti “a rischio” che devono essere subito indirizzati verso l’”area di alta intensità” senza però “intasare“ troppo il sistema. É stato inoltre sottolineato come in caso di dubbio, può essere eseguito il dosaggio dei lattati per indirizzare il paziente all’area adeguata per il trattamento. É comunque necessaria una formazione continua del personale infermieristico per mantenere elevata la sensibilità e l’attenzione verso una patologia così complessa e ambigua.
Il secondo aspetto è ancora più rilevante per evitare che vengano persi pazienti in evoluzione. Durante il percorso in DEA il paziente con infezione o con sintomi aspecifici e non chiari deve essere attivamente osservato e rivalutato e in questo un ruolo fondamentale è quello dell’infermiere che, nell’occasione della misurazione dei parametri vitali, parla con il paziente e si rende conto anche delle piccole variazioni (in questo l’utilizzo delle scale MEWS, NEWS etc. può essere di supporto).
Anche l’organizzazione e la strumentazione presente in Pronto soccorso (PS) hanno un ruolo di non secondaria importanza:
- il monitoraggio del paziente evidentemente settico è fondamentale nella gestione iniziale e può evitare ricoveri in Terapia intensiva; è pertanto necessario che il paziente identificato come sepsi (infezione con disfunzione d’organo) e shock settico venga indirizzato immediatamente in un’area ad alta intensità del PS;
- il paziente che non ha disfunzione d’organo e che viene inserito nella media intensità durante il suo percorso deve comunque prevedere una rivalutazione frequente; in questi pazienti anche la presenza di un familiare (adeguatamente informato) potrebbe aiutare ad evidenziare eventuali variazioni nello stato generale.